Il pastore

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Giovanni Passeri, pastore della chiesa “Movimento Cristiano Bethel” di Ardore

«Reputavo le persone che credevano in Dio sciocche».

Questo pensava Giovanni fino ai suoi trent’anni. Fin lì aveva vissuto la sua vita senza porsi il problema dell’esistenza di Dio: i suoi genitori non erano credenti e il tumore maligno al seno di sua madre, scoperto quando lui aveva soli diciott’anni, era la conferma che non poteva esistere un Dio che permetteva simili sofferenze.

Per tutti gli anni del liceo e per quelli dell’università a Messina aveva dimostrato un carattere audace fino a diventare a tratti sconsiderato e – nonostante la gracilità del suo fisico – in qualche modo i suoi amici riconoscevano in lui un leader. Erano gli anni della contestazione politica giovanile e lui non era nulla di meno che un provocatore. Non avrebbe mai potuto immaginare che questo suo temperamento un giorno Dio l’avrebbe plasmato e usato per asservirlo a qualcosa di molto più profondo: trasmettere la Verità dell’amore e della potenza di Cristo per la salvezza di chi crede.

Dio l’aveva dotato di un carisma particolare fin da quando era lontano dalla grazia di chi conosce Gesù, per uno scopo ben preciso: l’aveva scelto per avere onore dalla sua vita. «Tienitelo per te il tuo Dio» , rispondeva Giovanni a chi tentava di parlargli di qualcosa che andava oltre al razionale. Lui che era un pragmatico e che viveva bene come aveva sempre fatto, senza Dio.

Quando conobbe sua moglie Alda. ebbe il primo incontro con quelle che erano le tradizioni della confessione cattolica. La notte di Natale del primo anno di matrimonio, sua moglie gli chiese di accompagnarlo alla messa. Era la notte in cui veniva posto il bambinello nella stalla del presepe. Non riuscì a trattenere la sua reazione: rise. La religione e quelle usanze erano un insulto bell’e buono all’intelligenza umana. E insulto era anche tutto il clero con i suoi scandali e le sue ricchezze.

Un giorno, però, qualcosa cambiò. Sua moglie aveva accompagnato la zia in chiesa, seppur con delle difficoltà perché aveva un forte dolore alla caviglia. Al ritorno, parcheggiata la macchina, si mise a correre incontro a Giovanni.

«Sprizzava una gioia che non avevo mai visto sul suo volto, nemmeno quando ci siamo sposati. E non zoppicava più! Ha cominciato a raccontarmi in pochi minuti quanto era stata bella la messa e sono rimasto toccato dalla sua espressione. Quando mi domandò di accompagnarla in quella chiesa, è stato strano, riconosco che Dio stava operando nel mio cuore. Per la prima volta le dissi di sì e io, a rendere felice lei, ero tranquillo. Non mi rendevo conto di quello che stava succedendo né di quello che provava lei, ma avevo capito che dirle di no le avrebbe creato un forte dispiacere. Era diverso dalle altre volte».

Quando venne il momento di andare in chiesa fecero un po’ fatica a trovare il posto. Cercavano una chiesa come quelle che si vedono nelle piazze italiane, una chiesa tradizionale, con tanto di campanile. Ma non la trovarono. Alda non ricordava com’era fatta, e non la ricordava semplicemente perché non era una chiesa come tutte quelle che aveva visto e frequentato.

D’improvviso una scritta sulla parete di un edificio che sembrava una casa. “Chiesa Cristiana Evangelica”. Era quella. Ma non era quello il giorno del “santo servizio”. Quella sera per tutto il tragitto dalla chiesa a casa sua moglie rimase muta, era inspiegabilmente dispiaciuta. Vi tornarono l’indomani. Alda entrò e Giovanni l’aspettava fuori in macchina a leggere il suo giornale.

«Dopo dieci minuti che leggevo non riuscivo a stare in macchina, ero irrequieto: dovevo scendere! Ho cominciato a passeggiare e sono arrivato, senza rendermene nemmeno conto, davanti alla porta della chiesa e mi sentivo inspiegabilmente attratto, così sono entrato. Ero in piedi nell’ultimo banco, solo. Era strano, non riuscivo a capire quello che stava succedendo: prima erano tutti in piedi e poi tutti in ginocchio a pregare. Controllavo con lo sguardo Alda che era tra le prime file. Per altro, mi guardavo intorno e giudicavo soltanto. Poi qualcuno cominciò a pregare a voce alta chiedendo a Dio che piegasse le mie ginocchia e io pensai nella mia mente “Avoglia a pregare tanto io non mi inginocchio”. Ma in quel preciso istante ho sentito delle mani con la forza di mille uomini che piegavano le mie ginocchia».

Fu così che si ritrovò a terra, in ginocchio, prostrato a piangere e a chiedere perdono per ogni peccato, mancanza e debolezza della sua vita. Come un film gli passavano davanti, uno ad uno, tutte le cose brutte che nella sua vita aveva fatto, tutte le volte che aveva ferito qualcuno o tutte le volte che aveva provocato liti. Ogni cosa. E per ogni cosa chiedeva perdono a quel Dio in cui non aveva mai creduto.

«La verità è che mi sentivo un verme, sporco, davanti a quel Dio e mi vergognavo ad alzare il viso perché sentivo una presenza davanti a me, credevo di avere Gesù davanti con le sue mani su di me» . Per un’ora e mezza rimase piegato sulle sue ginocchia. «Sento Dio! Dio esiste! Ditemi cosa devo fare?». L’incontro con Gesù fu tremendo e sconvolgente. «Ho capito che stava succedendo un miracolo, non sapevo di cosa si trattasse, ma era un miracolo nella mia vita».

Oggi Giovanni Passeri serve Dio da circa trent’anni con tutta la sua famiglia. E dopo trent’anni ha sempre la stessa espressione di entusiasmo e gioia negli occhi nel raccontare l’incontro/scontro con Gesù. Dio l’ha scelto come pastore della comunità di Ardore. Ma prima di tutto l’ha scelto come figlio Suo. Dio conosceva e amava Giovanni, forgiando il suo carattere fin da quando era piccolo.

Nulla e nessuno può resistere a Dio e nulla può essere fatto contro la verità della Sua parola che rende liberi dal peccato. Il miracolo che Giovanni aveva ricevuto era l’esperienza più importante della sua vita: conoscere Gesù ed essere perdonato e salvato solo per la Sua grazia, acquistando il diritto alla vita eterna. “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16) .

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